Anni ’50
1958
Enotrio Mastrolonardo, Dada Maino/Osvaldo Pivetta, presentazione della mostra, Circolo di Cultura, via Boito 7, Milano, 31 maggio 1958
Mario Monteverdi, Andar per Mostre (…) Dada Maino, “Corriere Lombardo”, 9-10 giugno 1958, recensione della mostra Dada Maino, Osvaldo Pivetta, 31 maggio 1958, Circolo di Cultura di via Boito 7, Milano ( prima mostra personale a due dell’artista, già indicata come Dada Maino, Galleria dei Bossi, 1958)
corriere lombardo 4
1959
Maino, Galleria del Prisma, Milano, 27 maggio 1959. Presentazione a cura di Enotrio Mastrolonardo.
La donna nell’arte contemporanea, Galleria Brera, Milano, 18.12.1959-12.1.1960
Anceschi, Boriani, Castellani, Colombo, De Vecchi, Maino, Manzoni, Mari, Massironi, Pisani, Zillocchi, Galleria Azimut, Milano, 22.12.1959-3.1.1960
Anni ’60
1962
Nieuwe tendenzen, Galerie Orez, L’Aia, 18.1 – 20.2 1962 ; Academiegebouw Rapenburg, Leiden; con Arman, Armando, Jón Gunnar Árnason, Bernard Aubertin, Hermann Bartels, Stanley Brouwn, Pol Bury, Enrico Castellani, Gianni Colombo, Piero Dorazio, Klaus Jürgen Fischer, Lucio Fontana, Raimund Girke, Hermann Goepfert, Gerhard von Graevenitz, Gotthard Graubner, Jan Henderikse, Gottfried Honegger, Oskar Holweck, Yves Klein, Boris Kleint, Yayoi Kusama, Heinz Mack, Piero Manzoni, Dada Maino, Almir Mavignier, Christian Megert, Franz Mon, Henk Peeters, Otto Piene, Uli Pohl, Arnulf Rainer, Dieter Roth, Jan J. Schoonhoven, Jesús Rafael Soto, Günther Uecker, Paul Van Hoeydonck, Jef Verheyen, Herman de Vries, Rolf Weber.
Maino. Monochrome Malerei, Galerie Senatore, Weberstrasse 59, Stuttgart, 3.2.1962, presentazione a cura di Walter Schonenberger; conferenza dell’architetto Johannes Erdmann il 3 febbraio alle 18; Volume, 1960 donato dall’artista a Erdmann in occasione della conferenza del 1962
Nul 62, Stedelijk Museum, Amsterdam, 9-25.3.1962: l’artista espone 6 opere nella sala con Yayoi Kusama adiacente a quella di Manzoni e Castellani. Rilievo bianco su tela; Volume a moduli sfasati in plastica bianca; 4 Rilievi colorati in rhodoid (rosa, azzurro, verde, blu) di cui due con motivi a triangoli e due con motivi a quadrati
Punto 1, Galleria Cadario, Milano, 7 maggio 1962
Dada, Punto 3, in “D’Ars Agency”, n.3, 15 luglio 1962
Krit-Punto 2, Palacio de la Virreina, Barcellona, 11-25.8.1962
Punto 3, Galleria La Palma, Albisola Mare, 20-30.8.1962
Anno 62, Galerie ’t Venster, Rotterdam, 3-23.11.1962.
Arte Programmata, Galleria La Cavana, Trieste, 19.12.1962-8.1.1963
1963
Dadamaino, Galleria La Cavana, Trieste, 23 febbraio (annuncio della mostra personale tratto dalla rivista NUL=0, n.2 , aprile 1963)
Dadamaino in una foto di gruppo del GRAV a Parigi nel gennaio 1963
Superficie, 1962 di Dadamaino pubblicata in “NUL=0”, n.2 , aprile 1963.
Oltre la pittura. Oltre la scultura. Mostra di ricerca di arte visiva, Galleria Cadario, Milano, 26.4-17.5.1963.
Oltre la pittura. Oltre la scultura. Ricerca di arte visiva, Galleria La Bussola, Torino, 6 Giugno 1963
Nove Tendencije 2,Galerija suvremene umjetnosti Zagreb, 1.8 – 25.9 1963 (Dadamaino non partecipa)
1965
De Nieuwe Stijl, Galerie Bezige Bij, Amsterdam, 9-22.4.1965
.
Arte cinetica, Palazzo Costanzi, Trieste, luglio-agosto (espone un Oggetto ottico-dinamico indeterminato)
Anceschi, M. Apollonio, Biasi… Galleria Il Punto, Torino, 7-29.9.1965 (espone un Oggetto ottico-dinamico)
V centenario dell’introduzione dell’arte tipografica in Italia,Mostra del linguaggio grafico nella comunicazione visiva, Castello del Valentino, Torino, 8.9-3.10.1965 (espone l’Oggetto cinetico)
1967
Il gioco degli artisti, Galleria del Naviglio, Milano, 10.12.1966-6.1.1967
La Nuova Tendenza, Il Cenobio, Milano, 18.1.1967
Nuova Tendenza. Arte programmata italiana, Galleria della Sala di Cultura del Comune, Reggio Emilia, 29.1.1967
Strutture organizzate in ipotesi linguistiche intersoggettive, Centro Proposte, Firenze, 16.5.1967
Invito alla mostra Strutture organizzate, Firenze
IX Premio Nazionale di Pittura Silvestro Lega 1967, Galleria d’Arte del Comune, Modigliana, 1-15.8.1967 (espone Oggetto cinetico spettrocolore, Oggetto cinetico, Oggetto componibile)
1969
Co-incidenze. XX Rassegna d’arte contemporanea Città di Massafra, Edificio scolastico G. Pascoli, Massafra, 13-28.9.1969 (Componibile)
Pedro Fiori, Incontri d’arte. Dadamaino, “Linea Intima”, 2/1969
Plastic Research, New Goodman Gallery, Johannesburg, novembre-dicembre (Oggetto dinamico alluminio su masonite, Oggetto a iterazione cromatica, due Disegni ottico dinamici, cinque Disegni colorati)
Anni ’70
1970
D’Ars, XI, 50
Dadamaino, Galleria Il Diagramma, via Borgonuovo 18, Milano, 26.2–15.3.1970 (Espone Componibili, Oggetto cinetico circolare, Ricerca del colore 100 pezzi, Fluorescenti)
Nac, n. 30, 1 febbraio 1970
Nac, n. 34, 1 aprile 1970
Dadamaino, Dadamaino, in «Idaf Enciclopedia Universale Seda dell’Arte Moderna», luglio 1970, p. 843.
DADAMAINO
Ricercatrice estetica, nata nel 1934 a Milano, città dove tuttora vive e lavora. Si dedica dal 1958 alle ricerche nel campo della fenomenologia visuale. Riferendosi a questa esperienza così ella stessa si esprime:
La ricerca visuale, iniziata dieci anni fa, ha contribuito ad abolire i limiti che condizionavano le arti plastiche. Fuori da questo ambito ristretto, essa è continuata interessandosi a problemi e fenomeni sempre più distanti ed avanzati, che hanno portato lo spettatore a vedere in modo nuovo, nonché a farsi compartecipe dell’operazione artistica.Ottenuto questo risultato, il proseguire solamente nell’ambito visuale significherebbe riproporre quei limiti già rifiutati. Ritengo che, successivamente alla scoperta visuale, si debbano ricercare, nel contesto dei fenomeni sensoriali, altre sollecitazioni provocatrici di stimoli e sensazioni inedite, anche al fine di svincolare il prodotto artistico da quelle discriminazioni a carattere intellettualistico-restrittive che ne circoscrivono la fruizione, rendendo l’arte una partecipazione più estesa e a tutti i livelli. Nel 1962 ha partecipato alla fondazione del movimento internazionale “Nuova Tendenza” di cui ancora oggi è membro. Ha allestito personali a Milano, Roma, Rotterdam, Barcellona, Amsterdam, Anversa, Parigi, Trieste, Torino, Berlino, Francoforte, Firenze, Londra, Berna, Zagabria, Palermo, Lexington, Modena, Reggio Emilia, Bergamo, ecc. Tra i premi a cui ha partecipato vanno ricordati: Premio S. Lega, Premio Michetti, Bianco su Bianco.
1972
Dadamaino, La tendenza dell’artista a sentirsi coinvolto nella politica, in «Arte e società», Milano, n.3, maggio-giugno 1972, p. 68
La tendenza dell’artista a sentirsi coinvolto nella politica è un aspetto peculiare della problematica contemporanea. Limitando il discorso all’ambito degli operatori visuali, alcuni di noi hanno creduto che il fare dell’arte fosse di per sé un atto rivoluzionario, tendente carismaticamente a smantellare le strutture sociali esistenti. In effetti non è mai successo niente del genere (anche perché si scopre sempre a posteriori la premonizione o la denuncia insita nell’opera) e il supporlo ancora equivarrebbe ad ipervalutarci o a crearci un comodo alibi dal quale scandalizzarci per come va il mondo.
Che fare allora? Lasciare l’arte per andare in fabbrica? Sarebbe una soluzione, individuale comunque, ma non la “soluzione”. Fare un’arte popolare capita dalle masse? Ma questa esiste già, per mezzo della produzione commerciale. Però, proprio questo tipo di lavori che riscuote tanto consenso popolare, denuncia il divario culturale e relativo grossolano imbroglio con cui la gente viene condita via a contentarsi dell’ennesima copia dello scugnizzo o della baita dysneiana con tramonto sul lago che vale perché “è fatta a mano”.
Se bene o male si partecipa a questo sistema non si può tornare indietro perché ha privilegiato pochi emarginando i più; sarebbe come se, per un malinteso senso egualitario, non essendoci sufficienti ospedali si facessero saltare i pochi esistenti. Inoltre non si può disconoscere che proprio da questa società criminale emergono le basi che costruiranno quella futura, la quale, abolendo lo sfruttamento permetterà poi di conseguire maggiore conoscenza e sviluppare la creatività insita in ciascun individuo. Forse solo allora si potrà parlare correttamente e realisticamente di arte. Quando cioè, smesso di rappresentare una categoria settoriale diventerà agibile in tutta l’estensione del significato a livello universale.
Quindi la pretesa di portar, lasciando o quasi le cose come stanno, l’arte alle masse anziché il contrario, ha il sapore di una presa in giro o, nella migliore delle ipotesi, di un vagheggiamento revisionista. Per dimostrarlo non occorre andare lontano: basta soffermarsi un momento sul fenomeno neorealista, promosso da un articolo di Togliatti del 1948 su “Rinascita”. Gli aderenti a questo movimento di arte socialista o popolare divennero nell’accezione comune artisti “impegnati” (tutti gli altri no) e si diedero a produrre sovente opere il cui tema è rappresentato da umanoidi stravolti, bisunti e pieni di rattoppi, abbigliati in fogge arcaiche, alle prese con attrezzi o attività di lavoro pressoché primordiali. Avulsi dal vero proletariato industriale e contadino che si è evoluto tecnologicamente da lungo tempo, ostili anche a qualsiasi innovazione artistica, dall’astrattismo in poi che a loro dire è aberrazione prodotta dai più biechi scherani della borghesia, questi sedicenti amici del popolo hanno rappresentato delle situazioni irreali ed irrazionali, ben più astratte dell’astrattismo, dove detto popolo, cioè il protagonista, malgrado gli sforzi di dirozzarlo installando riproduzioni di tali opere in quasi tutte le sezioni del P.C.I. illustranti il sano realismo socialista, fa di tutto fuorché identificarvicisi, o ci conia sopra battute salaci. Non a caso gli “originali”, anche per l’altissimo costo, non sono affatto destinati ai diseredati, ma stanno sopra la capoccia del magnate (capitalista o di partito) assiso alla scrivania della stanza dei bottoni, buon amico spesso dell’autore con il quale intrattiene rapporti mondani.
Tutti gli artisti mercificando le loro idee per un giro ristretto, quello dei ricchi e dei potenti; quindi, attualmente, alla luce dei fatti, il binomio arte-politica non risulta conciliabile.
Ed infatti l’io che fa politica si scinde dall’io che fa l’arte come se fossero due persone differenti e con tutte le frustrazioni che ne conseguono. Chi fa politica seriamente paga lo scotto di servire in modo piuttosto agevolato il padrone sentendosi, anche se è solo una sua impressione, diverso dal proletariato con il quale lotta a fianco e ne condivide la pesante repressione. Ma l’io artista, quello che non è in malafede né con se stesso né con gli altri, porta avanti egualmente la sua ricerca perché tale sarebbe probabilmente anche in una società libera, vivendo la contraddizione di essere capito solo da quell’élite che combatte e non dai compagni con cui lavora politicamente e che sono proprio coloro con cui vorrebbe discutere del suo lavoro, allo stesso modo come si discute dei problemi di fabbrica, del rincaro dei prezzi e della violenza padronale.
Ma fintanto che esiste quest’ultima che ci divide anche tra sfruttati e sfruttati e ci fa vivere senza libertà, bisogna accantonare questo progetto, contentandoci di uno dei pochi mezzi per cui l’arte oggi serve al movimento rivoluzionario: cioè destinare una parte della nostra produzione per contribuire al suo finanziamento.
E questo non tanto e non soltanto per lavarci la coscienza.
Dadamaino
Dadamaino è nata a Milano nel 1935. Vive e lavora a Milano.
Arlandi, Calderara, Dadamaino, Honegger, Jochims, Lerche, Perez, Scaccabarozzi, Schmalz, Vasarely, Galerie Ubu, Karlsruhe
Ballocco, Calderara, Colombo, Dadamaino de Alexandris, Nigro, Scaccabarozzi, Tornquist,Galleria della Cappelletta, Osnago
1974
Dadamaino, Centro Serre Ratti, Como, 27 settembre
Dadamaino Gonschior Letto Ludwig Tornsquist, Milano, Team Colore, maggio
Grafiche di Auguero, Albers, Alviani, Bill, Burri, Caldera, Dadamaino, Del Pezzo, Ferrari, Fontana, Franceschini, Frascà, Gestner, Graeser, Leinardi, Loewensberg, lose, Morandini, Soto, Tornquist, Vago, Vasarely, Verga, Vermi, Milano, Galleria Arte Struktura, 12 dicembre
Dadamaino, Galleria Uxa, Novara, 11-28 febbraio
1975
Dadamaino, la ricerca nel metodo, Galleria Method, Bergamo, 13 novembre 1975
Du coté de Grossetti, Milano, Salone Annunciata, 25 marzo
Dadamaino 1959-1975, Milano, Salone dell’Annunciata, 18 novembre
Ricerche a Milano agli inizi degli anni ’60, Lecco, Galleria Giuli, 8 marzo
Segno e geometria,Galleria Arte Struktura, Milano, 24 giugno – 24 luglio
Dadamaino, Team Colore, Milano, 5 febbraio
Dadamaino. Inconscio razionale, Vigevano, Studio V, 13 giugno
Momenti e tendenze nel costruttivismo, Milano, Galleria Buonaparte, 25 novembre
1976
Colore. Premio Silvestro Lega 1976, Modigliana, 31 luglio – Forlì 26 settembre
L’esplorazione percettiva, Bergamo, Palazzo della Ragione, 21 luglio
Ricerche a Milano agli inizi degli anni ’60, a cura di Gillo Dorfles, Milano, Studio Luca Palazzoli
Dadamaino, l’inconscio razionale, Galleria Arte Struktura,13 maggio – 2 giugno 1976
1977
Colombo Dadamaino Pardi Spagnulo,Galleria Giuli, Lecco, 3 maggio
Dadamaino, Studio Casati, Merate
Dadamaino, Galleria Spriano, Omegna, 29 ottobre-24 novembre
Dadamaino, In den Sand geschrieben, in Trigon 77. Der Kreative Prozess, Dreiländerbiennale Italien Jugoslavien Österreich, cat. mostra, Künstlerhaus Neue Galerie, Graz, 8 ottobre-11 novembre 1977
Scritto sulla sabbia
Le ricerche degli anni 60 comportavano rigore geometrico e maggiore era il perfezionismo tecnico, migliore il risultato dell’indagine. Ma io ho sempre avuto una doppia natura: istituita una regola per estrinsecare una ricerca, subito dopo la destituivo per vedere cosa succedeva “al di là”. Cioè, codificata una programmazione, cercavo come dato insostituibile l’imponderabile: ciò che sfuggendo alle regole desse una dimensione all’opera oltre la determinazione precostituita.
Sono arrivata ai rilievi intorno al 1972 e fino al 1975. Colore e forma avevano un preciso valore e sotto, sulla tavola che sosteneva il rilievo, tracciavo le linee dove apporre i tasselli di legno. Mai cancellai queste tracce, anche quando mi venne fatto osservare che questo reticolo manualizzava l’opera, proprio perché volevo che questo elemento risultasse evidente.
Ripresi a dubitare e a riflettere, chiedendomi se non mi nascondessi dietro forme esatte per paura di avere coraggio. Dovevo rompere con l’immagine forbita, formalmente ineccepibile. In breve, stavo mettendo in discussione tutto il lavoro passato. I tempi erano cambiati ed altro tipo di sensibilità si stava affacciando, perlomeno così sentivo, come sentivo che non volevo vivere di rendita. Ma uscire da schemi che bene o male abbiamo noi stessi inventato non è facile. Ho ricominciato da capo ad analizzare e verificare, ma più mi inoltravo in questo genere di investigazione più venivo invischiata da regole che mi bloccavano. Finché dopo innumerevoli disegni volti in varie direzioni compresi che non dovevo usare la riga per prendere le misure, né il trattolinee per fare segni perfetti. Come un velo che mi fosse caduto dagli occhi ho visto che se per vent’anni avevo immesso materiale sui lavori, ora dovevo togliere, abolire schemi e misure: insomma tutto quanto mi costringeva. Così segnai i fogli verticalmente ed orizzontalmente con linee spezzate. Constatai che malgrado non prendessi più misure era come se lo facessi, perciò, poiché era una sorta di scrittura che mi veniva spontaneamente, chiamai questi lavori “inconsci razionali”. Poi abbandonai anche la riga e tiralinee e segnai i fogli e tele a mano libera, con tratti sempre più ridotti. Non si doveva vedere nulla a primo acchito, ma scoprire, dopo, che sui supporti esisteva qualcosa che era la traccia della mente.
Ma non si vive se non nella socialità. Quando ero piccola scoprii che molti miei coetanei solo perché ritenuti diversi, ebrei o zingari, erano stati eliminati dalla faccia della terra sistematicamente. Sentii un forte senso di colpa per essere stata risparmiata, perché solo un caso aveva deciso così. Il caso degli uomini, naturalmente. Sembrava, data la mostruosità dello sterminio, che fosse finita, che si fosse capito che il dolore è nella vita stessa: le malattie che ci piegano, il bisogno, l’ignoranza e che questo fosse quanto da combattere. Lottare perché nel mondo si instaurasse la giustizia dell’eguaglianza. Non si è verificato che sporadicamente.
L’estate scorsa seguii angosciata la tragedia di Tall el Zaatar. Si sapeva tutto a priori, ma nessuno ha mosso un dito per evitare il genocidio. E tra gli altri, proprio coloro per i quali da bambini mi ero sentita in colpa di vivere, gli ebrei, immemori della spaventosa repressione subita, contribuivano a permettere il massacro. Scrissi una lettera che indirizzai alle donne di tutto il mondo, affinché lottassero per fermare la strage. Se gli “uomini” non sapevano che proporci “soluzioni finali”, che le donne lo impedissero con la forza della loro coscienza diversa. Era mera follia e misi la lettera in tasca.
Piena di rabbia e di dolore impotente mi prese un impulso di tracciare segni. Altro non mi era concesso di fare. Feci ossessivamente linee orizzontali e verticali, ripetute fino a riempire i fogli e poiché il dolore esige pudore, alcuni di essi li coprii. Erano lettere, al posto di quella genericamente e semplicisticamente destinata alle donne che esprimevano la mia inane solidarietà, la mia protesta contro la criminale violenza tanto per cambiare sotto il segno della croce.
Quando si compì la sorte del villaggio palestinese, il 12 agosto, andai su una spiaggia deserta e dopo aver guardato il mare, anche lui insensibile e preso dal suo movimento, cercai un bastone e cominciai a tracciare lo stesso segno delle “lettere” sulla sabbia, per tutto il giorno. Smisi quando fui stremata. Avevo riempito la spiaggia di segni che, me ne resi conto allora, formavano un’acca, che nella mia lingua è la lettera muta. Una protesta scritta sulla sabbia, quanto di più labile vi sia.
I giorni successivi tornai a vedere, perché la mia curiosità di artista era altrettanto forte che il dolore e i segni non erano scomparsi, solo sempre meno nitidi e quando partii, ancora qualche traccia era visibile.
Dopo gli “inconsci razionali” disintegrati, ho ricostruito una lettera del mio alfabeto personale, la lettera muta. Altri eventi sono accaduti: persone care sono state o sono gravemente ammalate. Il loro dolore lo sento sulla mia pelle e queste lettere sono indirizzate pure ad esse, alla sofferenza dell’umanità, di qualsiasi natura e proporzione
Dadamaino
2.VIII.1977
1979
Stanze del gioco, a cura di Paolo Fossati e Pier Giovanni Castagnoli,Ravenna, Loggetta Lombardesca, 17 febbraio-31 marzo (invito)
Dadamaino, Genova, Galleria La Polena, 22 febbraio 20 marzo
Dalla ratio scientifica, a cura di A. Pansera e M. Meneguzzo, Biblioteca Civica, Monza, 12 maggio – 8 giugno
Dadamaino opere 1958 – 1979, Torino, Galleria Martano, 21 maggio-12 giugno
Dadamaino, i fatti della vita, Milano, Studio Carlo Grossetti, 20 novembre (invito)
Dadamaino, testo sul tema Il rapporto con la tradizione, «Aspetti e problemi dell’arte contemporanea», Quaderni del cento di Documentazione Arti Visive, Pescara, n. 1, maggio 1979, p. 12
Cari amici,
il tema in cui sono stata inserita mi ha messa in imbarazzo proprio per la sua generica vastità: dove un’infinità di cose possono inserirsi senza tema di particolari smentite.
Che cos’è il rapporto con la tradizione? Secondo me tutto, poiché nulla esiste senza precedenti, equivalenti alla catena biologica che da una genesi è giunta, memorizzando, scartando e proponendo, sino ai giorni nostri e andrà avanti non so fino a quando. Allora questo tutto si dilata sino a trasformarsi in un’evanescente nebulosa dove il perdersi è più praticabile che fare un punto qualsiasi.
Si tratta di tradizione come rispetto e verifica del passato o tradizione come immobilismo? Di tradizione come categoria che va sotto il nome di arti e mestieri con tutte le implicazioni del caso? Di tradizione occidentale o di tradizione tout-court? (Perché il mondo è un coacervo di tradizioni e loro addentellati la più parte delle quali mi sono pressoché ignote). Tradizione come coazione a ripetere? Tradizione come canali del mercato dove l’arte va a finire? Tradizione vista dalla parte delle donne? Tradizione come continuità della ricerca artistica? Tradizione come rapporto dialettico con la storia?
Ecco, mi sono posta solo alcune semplicissime, banali proposizioni e già sono impelagata. Quale argomento affrontare senza tirare in ballo tutti gli altri, qui neppure citati, e perché privilegiarne uno solo per non correre il rischio di fare un trattato che non saprei neanche da che parte cominciare?
Forse non ho ben capito l’essenza della domanda, ma comunque sia questa è la risposta che posso dare, aspettando di leggere le risposte degli altri interpellati, che mi auguro siano più illuminanti della mia.
Vi saluto con amicizia.
Dadamaino, La section d’or o della Restaurazione, in “La tradizione del nuovo”, Ravenna, III, n.7, giugno 1979, p. 11
Sotto la sezione d’oro si nasconde un piccolo tesoro.
Fra tutti i rettangoli apposti solo uno è calcolato con la regola della sezione aurea. Invito il pubblico a mettere il proprio nome ciascuno su uno dei cartoncini. Chi lo metterà su quello a sezione aurea vincerà un premio che potrà ritirare, a mostra ultimata, in segreteria. Dadamaino