Opere su carta o su tele monocrome bianche o nere, segnate da un reticolo di slegati tratti a china o a tempera verticali e orizzontali, con spazi vuoti tra uno e l’altro. Sono state esposte per la prima volta allo Studio V di Vigevano nel 1975 e più compiutamente alla galleria Arte Struktura nel 1976.
Spiega Dadamaino:
“Dopo avere ritagliato le tele sino a lasciare solo quasi il telaio (1958) ho iniziato a razionalizzare il mio lavoro, creando un ordine, peraltro connaturato alle opere stesse. Ma sempre, trovato un metodo, l’ho sviscerato e scomposto per verificare delle possibilità più aperte che mi hanno portato a nuove ricerche.
Ed infatti, il mio lavoro verte essenzialmente sulla ricerca.
Arrivata ad un certo punto, dopo avere risolto il problema dei cromorilievi ridotti poi in rilievi monocromi e monomodulari (1974) mi sono chiesta se la formulazione geometrica e/o modulare non fosse un diaframma dietro cui ovviare la paura ad avere coraggio.
Ho ripreso carta e colori ed ho disegnato, a volte irrigidendomi ed allontanandomi dal problema, a volte girandoci attorno. Ero assai scontenta di questa incapacità di uscirne nel modo giusto, che non sapevo quale fosse, ma che intuivo non lontano. Ho continuato a lavorare con più accanimento fino a scarnificare la ricerca a sole linee, perché intravedevo che quello che cercavo era anche una specie di profondità che non doveva evidenziarsi con la prospettiva, ma con un risultato piano.
Poi stufa di continuare a prendere misure e fare linee di lunghezza, o larghezza, o spessore controllati ho guardato il tiralinee che in definitiva è sempre stato la mia vera penna ed ho scritto, sulla carta prima e sulla tela poi.
Si tratta di una sorta di scrittura della mente, della mia: fatta di linee ora dense e marcate ora impercettibili e saltellanti, ora lunghe ed ora brevissime, senza alcuna programmazione a priori, ma sensibili alla pressione della mano che libera, corre e traccia senza premeditazione. Ma è chiaro che se la mano è guidata dalla mente, in questo caso lo è dall’inconscio. Il risultato è una specie di reticoli e di spazi vuoti, per nulla disordinati, che hanno un loro ritmo, una loro profondità ed una loro armonia. Perché sì, l’ordine è diviso grosso modo in due categorie: quello repressivo, ottuso e prevaricatore e quello armonioso della libertà, dove le limitazioni non sono tali, ma si chiamano rispetto dell’altrui libertà e tolleranza.
Quindi concludo osservando, al di là dell’analisi critica che non è mio compito, che la mia razionalità non è autoimposta, ma fa parte della mia indole. La geometria e il rigore non sono il paravento della mia paura ad avere coraggio, ma la molla per essere sulla pista della ricerca.”