Il rifiuto della pratica pittorica, l’assunzione del monocromo e la conseguente adozione della tela come “oggetto” la portano a concepire opere nuove in cui la tela è sottoposta ad uno o più prelievi che determinano dei larghi fori o lacune nella superficie, secondo un’ispirazione che si rifà ai Concetti spaziali di Lucio Fontana. La superficie della tela è fortemente compromessa. I prelievi all’inizio interessano l’intera area del quadro e paiono di forma irregolare, tali da mostrare il telaio di legno retrostante o il muro. Contemporaneamente la fenomenologia di questo ciclo presenta più prelievi a forma ovale o a cerchio. La tela può essere lasciata grezza o colorata in senso monocromo, per lo più nera o bianca. Dall’estate del 1960 i fori diventano molteplici e regolari, di natura geometrica e l’artista appone un fondo di tela al telaio, al retro, tale da creare uno sfondo uniforme ai fori. L’artista denomina queste opere “Volumi”, perché le larghe lacune rivelano uno spazio oltre la tela, una inattesa profondità e la superficie del muro retrostante, che interagisce con l’opera, ne determina continue variazioni percettive, anche in senso tridimensionale. I “Volumi” non sono attestati, per quanto concerne le esposizioni, nel 1958, ma sono stati eseguiti alla fine di quell’anno, come più volte ha ribadito l’artista, ed esposti solo dopo un lungo periodo di “incubazione”. Infatti sono esposti pubblicamente per la prima volta il 18 dicembre 1959 alla collettiva La Donna nell’arte contemporanea alla Galleria di Brera in via Brera 14 a Milano e dopo quattro giorni alla collettiva di Azimut con Giovanni Anceschi, Davide Boriani, Gianni Colombo, Gabriele Devecchi, Enzo Mari, Manfredo Massironi, Alberto Zilocchi.